Ogni anno, nel mondo, i decessi per suicidio ammontano a circa un milione. La prevenzione è l’obiettivo di molteplici ricerche sul fenomeno, finalizzate all’individuazione della miglior combinazione di strategie per il trattamento.
Il suicidio è, infatti, un evento multideterminato, nel quale entrano in gioco fattori di natura biologica, psichiatrica, psicologica, sociale, culturale e circostanziale, che si embricano e si intrecciano variamente tra loro. Il suicidio, quindi, è generato non da una sola e diretta variabile, ma da diverse variabili che interagendo ed integrandosi tra loro in uno stesso individuo, in modo dinamico nel tempo, rappresentano una costellazione di fattori, tra i quali è da annoverare il disturbo psichico.
Analizziamo in particolare il suicidio nelle strutture ospedaliere, per comprendere quali siano le misure di prevenzione da adottare e quali responsabilità possano ricadere sulla struttura sanitaria per omessa vigilanza del paziente che si suicida durante il ricovero.
La prevenzione del suicidio ospedaliero si basa principalmente sulle iniziative che mirano a personalizzare quanto più possibile l’esperienza del ricovero. Il supporto al paziente deve basarsi sull’alleanza terapeutica, che risulta essere uno dei principali fattori protettivi. Altrettanto necessaria a fini preventivi è l’adozione delle misure finalizzate ad incrementare la sicurezza ambientale per tutti gli utenti dell’ospedale.
Al fine di identificare quei pazienti che presentano un elevato rischio suicidario, è opportuno che il personale medico e infermieristico, secondo le specifiche competenze professionali, effettui, in un clima che favorisca la comunicazione, un’attenta e completa anamnesi. I fattori prioritari da rilevare includono pregressi atti auto‐lesivi, eventi avversi recenti (come lutti o malattie), abusi sessuali subiti, familiarità per suicidio. È inoltre fondamentale l’accertamento delle condizioni cliniche. Ovviamente, il rischio di azioni suicidarie è più elevato in alcune condizioni cliniche quali patologia psichiatrica grave (depressione, disturbo bipolare, schizofrenia ed altri disturbi psicotici, disordini della personalità con comportamento aggressivo e impulsivo), dipendenze (da alcool, stupefacenti o psicofarmaci, gioco d’azzardo patologico), sindromi cerebrali organiche, depressione post partum, diagnosi multiple, patologia terminale, ecc. Altri possibili sintomi o disturbi comportamentali sono rappresentati da disperazione, impulsività, esternazione di idee di suicidio o negazione incongrua/contraddittoria.
Tenuto conto che il rischio suicidario è una variabile dinamica, lo stato del paziente dovrebbe essere rivalutato dal personale medico e infermieristico, giornalmente, tramite un’osservazione personalizzata, allo scopo di sostenere il paziente e cogliere i segni premonitori di un eventuale atto suicidario.
Parallelamente si rende necessaria una valutazione di rischio ambientale, di concerto con le strutture tecniche, finalizzata ad individuare le principali condizioni di rischio presenti nelle specifiche strutture. Si elencano di seguito alcune misure preventive di possibile adozione: utilizzo di posate di plastica e piatti infrangibili, quadri ben fissati al muro con vetri di sicurezza; specchi di sicurezza nei bagni, strumenti e attrezzature (stetoscopi, strumenti taglienti, farmaci) attentamente custoditi, sistemi antintrusione anche nei locali riservati al personale, vetri antisfondamento o ringhiere, maniglie delle porte dotate degli opportuni requisiti di sicurezza, protezione dei raccordi per ossigeno e aspirazione, campanelli di allarme non appesi a soffitto o pareti, eventuali impianti di videosorveglianza in aree non presidiate o critiche.
In conclusione, pur ammettendo che si utilizzino al meglio le risorse relative all’ambiente fisico e di personale di cui la struttura sanitaria dispone, non è detto che la stessa sia in grado di impedire, soprattutto a lungo termine, che un paziente determinato a togliersi la vita, compia il suicidio. Permane l’importanza dei comportamenti cautelari di prevenzione, di prudenza e diligenza in relazione alla tipologia e gravità del rischio, che gli psichiatri sono tenuti ad applicare e documentare in cartella clinica nei riguardi di un paziente con rischio suicidario attuale e concreto.
In via generale sussiste il concetto di inadempimento da parte della struttura nel vigilare sulla sicurezza del soggetto in menomate condizioni di capacità di intendere e di volere, poiché l’ospedale è tenuto ad adottare un atteggiamento di protezione differenziato, a seconda della patologia lamentata dalla persona ricoverata, sin dalla fase di primo intervento.
Il processo di accertamento di profili di responsabilità per omessa vigilanza, involge opportune valutazioni sul nesso di causalità tra le migliori condotte di vigilanza rilevate (poste in essere attraverso mezzi contenitivi di natura meccanica e farmacologica e allo stesso tempo sensibili alla instaurazione di un rapporto medico paziente e della necessaria compliance che il paziente psichiatrico può offrire al piano di cure) e l’evento dannoso.
Grava sulla struttura sanitaria l’onere di dimostrare la prova liberatoria e cioè di avere adottato, nel caso di specie, tutte le cautele richieste volte ad evitare che si verificasse l’evento dannoso. Invero, qualsiasi struttura sanitaria, nel momento stesso in cui accetta il ricovero d’un paziente, stipula un contratto dal quale discendono naturalmente due obblighi: il primo è quello di apprestare al paziente le cure richieste dalla sua condizione, il secondo è quello di assicurare la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela, per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale della cura.
L’obbligo di vigilanza e protezione del paziente, in quanto scaturente ipso facto dall’accettazione del paziente, prescinde dalla capacità di intendere e di volere di questi, né esige che il paziente sia sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio. L’unica condizione, è che il suicidio (o tentato suicidio) rientri nello spettro della prevedibilità, per questo è molto importante, identificare – come prima si diceva - il livello di rischio suicidario e l’adeguatezza delle misure messe in atto. La presunzione di cui all’art. 1218 c.c., gravante sulla clinica, è infatti una presunzione di colpa: da essa il soggetto onerato si libera dimostrando di avere tenuto una condotta diligente.
A tal fine assume notevole importanza l’analisi svolta dal medico legale che esamina in dettaglio tutta la documentazione clinica e specialistica relativa al paziente ed esprime un giudizio sull’efficacia e adeguatezza delle misure poste in essere dalla struttura sanitaria convenuta.
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