La relazione tra procedimento giudiziario e professione medica è da sempre problematica. La soluzione dei problemi della responsabilità penale e civile in campo medico passa attraverso la traduzione di diversi linguaggi specialistici, nel senso che, attraverso gli atti dei processi, occorre tradurre, a beneficio del giudice, habitus mentali, codici linguistici e comportamentali, prassi tipiche dell’attività medica; traduzioni, non sempre facili.
L’entrata in vigore della Legge 8 marzo 2017, n. 24, conosciuta come legge Gelli-Bianco, segna un’importante tappa di questa relazione legiferando su vari temi, tra cui, per l’appunto, sulle modalità e le caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità professionale del sanitario.
Lungi dal voler trattare le modifiche apportate da tale normativa, tra cui la nuova disciplina della colpa penale introdotta dall’art. 590-sexies c.p.- per la quale si rinvia ad un precedente articolo di questo blog - si vuole invece in questa sede evidenziare un aspetto della suddetta normativa che si ritiene meritevole di approfondimento.
Si fa riferimento all’art 15 che dispone che nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia risulti affidata dall’autorità giudiziaria ad un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti della disciplina che abbiano specifiche e pratiche conoscenze di quanto oggetto del processo. Si aggiunge che le persone nominate devono essere scelte fra gli iscritti nei relativi albi e non devono presentare posizioni di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi. Si modifica poi la disciplina degli albi dei consulenti di cui all’art. 13 disp. Att. c.p.c. e dei periti ex art 67 disp att. c.p.p., imponendo l’indicazione documentata della specializzazione conseguita dall’esperto in medicina e l’aggiornamento dell’albo medesimo con cadenza almeno quinquennale. Infine, si stabilisce che si proceda alla revisione dei predetti albi tenendo conto dell’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati.
L’obiettivo del legislatore è decisamente encomiabile, poiché si è deciso di puntare sulla coralità e multidisciplinarità di un pool di professionisti chiamati a dare il proprio come tributo alla ricostruzione dei fatti relativi ad episodi di asserita responsabilità medica. La convinzione è che la valutazione collegiale sia più affidabile rispetto a quella proveniente unicamente dal medico legale, poiché unirebbe alle conoscenze medico-legali quelle afferenti allo specifico settore oggetto del caso concreto, rendendo più agevole al giudice la comprensione delle diverse dinamiche del fatto.
Tuttavia questa norma impone qualche riflessione.
Problemi pratico-applicativi dell’art 15 della Legge Gelli-Bianco
Occorre innanzitutto domandarsi se le indicazioni provenienti dall’art. 15 siano vincolanti o meno nel procedimento penale. Il problema si pone in quanto non è stata modificata nel testo del codice di procedura penale la disciplina del conferimento degli incarichi peritali da parte del giudice e della nomina dei consulenti tecnici da parte del P.M. E dei difensori, che sono scelti indipendentemente dalla loro eventuale iscrizione negli appositi albi. Ma alla luce del criterio di specialità, si ritiene plausibile che l’art.15 prevalga sulla disciplina codificata.
Altro problema di non poco conto, è che questa previsione sta registrando un’applicazione disomogenea nella prassi giudiziaria.
In particolare, secondo una prassi invalsa in alcuni Tribunali, la norma può essere rispettata anche nominando un unico consulente tecnico d’ufficio che abbia sia la specializzazione in medicina legale sia la specializzazione nella disciplina più afferente alla vicenda portata in causa. Infatti, da un lato, la formazione di un collegio composto da più consulenti tecnici d’ufficio fa aumentare notevolmente i costi del processo, che essendo anticipati dal ricorrente, disincentiveranno questo ultimo a far valer i propri diritti. Dall’altro lato, non è scontano che i consulenti siano in grado di collaborare e arrivare ad una ricostruzione comune dei fatti; il rischio è quello di una consulenza poco chiara e poco coerente.
Ma il rischio maggiormente paventato è l’assenza di “imparzialità” del giudizio degli specialisti, soprattutto nei giudizi civili. Con riferimento proprio a tale settore, troppo spesso infatti lo specialista della disciplina nell’ambito della quale si è verificato l’errore professionale, tende a sottovalutarne la portata e ad escludere la colpa del comportamento collega. L’atteggiamento indulgente verso l’esercente la medesima attività professionale può spiegarsi con una serie di motivazioni consce ed inconsce. Tra le prime sicuramente la consapevolezza che magari errori del genere al quale appartiene quello oggetto della controversia, “possono capitare” attesa la difficoltà tecnica dell’attività medica, ovvero errori simili sono già accaduti anche allo specialista che valuta il caso. Tra le seconde verosimilmente esiste una sorta di “immedesimazione” e di “empatia” nell’operato del collega, cui consegue la tendenza a misconoscerne le responsabilità. Tale comportamento “protettivo” verso la propria categoria lavorativa, finisce purtroppo con il compromettere il legittimo diritto al risarcimento del paziente danneggiato dall’operato dei sanitari. Atteggiamento che potrebbe accentuarsi in presenza di legami del professionista con i soggetti coinvolti nel procedimento; per questo assume notevole importanza valutare, nella nomina degli specialisti, l’eventuale presenza di conflitti di interesse.