La sostituzione protesica di un’articolazione degenerata è una pratica diffusa e ormai consolidata, che offre una soluzione a medio-lungo termine ai problemi correlati al danno articolare.
Di più recente diffusione in ambito di protesi articolari, è la protesi totale di polso, atteso che la patologia degenerativa riguardante tale distretto, è percentualmente meno frequente rispetto a patologie simili afferenti altri distretti articolari (anca, ginocchio ecc.) ed in considerazione delle molteplici soluzioni chirurgiche alternative esistenti (resezione prima filiera carpale, artrodesi parziali o totali di polso).
Le protesi di polso si rivelano un’ottima soluzione per i pazienti con grave artrosi primitiva o post-traumatica e per quelli affetti da patologie come l’artrite reumatoide, che hanno esigenze specifiche e desiderano preservare il movimento. L’artrosi in stadio avanzato del polso, con danno dell’articolazione radio-carpica e della medio-carpica (articolazione del semilunare con il capitato), sfociava tradizionalmente nell’indicazione di artrodesi totale di polso, spesso non ben tollerata per l’importante limitazione funzionale e comunque non esente da complicanze. Per contro, la sostituzione protesica del polso presenta comunque, propri rischi e proprie complicanze ed è sconsigliata per i pazienti con alte richieste funzionali[1].
La protesi può essere parziale se sostituisce solamente una componente ossea carpale, o totale, indicata e fruttuosa, per quei pazienti che soffrono di dolore e/o perdita di funzione in quanto affetti da artrite reumatoide, SNAC (Scaphoid Non-union Advanced Collapse) o SLAC (Scapho-Lunate Advanced Collapse), oppure da artrosi primaria o post-traumatica.
Tuttavia, è bene precisare che la stabilità dell’impianto di protesi totale e la sua funzionalità, possono essere influenzate negativamente da diversi fattori: la scarsa qualità ossea, i gravi deficit neurologici, tendinei o muscolari e le infezioni, sono i principali.
Ma vediamo quali sono le complicanze, e i relativi tempi di guarigione, potenzialmente derivanti dall’impianto protesico: tra le più comuni, come per qualsiasi altro intervento vi sono l’infezione e lo scollamento (asettico o settico); una complicanza invece tipica solamente delle protesi di polso, che non si verifica invece con le protesi dell’arto inferiore, è costituita dalla rottura tendinea.
Per quanto concerne i tempi di guarigione, in caso di protesi totale, dopo un ricovero di 2-4 giorni, i pazienti sono sottoposti ad un trattamento fisiatrico piuttosto lungo (2-3 mesi circa), con ripresa dell’attività lavorativa a non elevato impegno energetico, dopo circa 3 mesi dall’intervento. I soggetti sottoposti ad impianto di protesi parziali sono solitamente ricoverati per 2-3 giorni, seguono un percorso riabilitativo di 2 mesi circa e possono riprendere l’attività lavorativa, senza elevato impegno enrgetico della mano, dopo un paio di mesi dall’intervento.[2]
La protesi più utilizzata è quella di Swanson in elastomero di silicone rinforzata da due semianelli in titanio.
Dopo un intervento di protesi totale, il polso dovrà essere mantenuto in una posizione di riposo grazie ad una stecca gessata o ad un tutore per circa 3-4 settimane. La ripresa del movimento avviene solitamente senza alcun dolore, così che il paziente possa gradualmente intensificare gli esercizi di mobilizzazione attiva potendo raggiungere un’escursione articolare nell’ordine del 50% della normale escursione.
Risulta ovvio che l’intensità degli sforzi cui il polso verrà sottoposto determinerà la durata e l’efficacia dell’impianto protesico. Sono ovviamente da evitar attività lavorative che richiedono gestualità ripetitiva e l’utilizzo di strumenti vibranti come il martello pneumatico.
Nell’eccellente testo delle “Protesi dell’apparato locomotore (dalla clinica alla medicina legale) Luigi Palmieri” viene segnalato come risulti evidente, in termini di problematiche afferenti la valutazione del danno, come in caso di protesi di polso la valutazione delle sequele sia sostanzialmente da parametrare a realtà esitali quali anchilosi con artrodesi.
In un interessante lavoro di Bonziglia, Sergio Quaranta, Federico Battiston e Bruno Ferrero Matteo¸ in Rivista Italiana di Medicina Legale e Del Diritto in campo sanitario, viene proposta una valutazione medico-legale del danno biologico derivante dall’impianto di una protesi al polso.
L’articolo sottolinea in primo luogo come sia “opportuno considerare che ogni intervento protesico del polso, a seconda del tipo di protesi utilizzata, richiede comunque una quota di asportazione/demolizione ossea, di cui va tenuto conto nella valutazione medico-legale del danno biologico residuo a tale procedura; alcune protesi richiedono infatti una importante demolizione osteo-articolare, con conseguente maggior sovvertimento dell’anatomia loco-regionale e più cospicua componente protesica sostitutiva. Altro elemento da prendere in considerazione a fini valutativi è la tendenza di tali tipi di protesi ad una scarsa stabilità passiva; si tratta infatti di manufatti protesici di piccole dimensioni (in particolare quelle delle ossa del carpo), soggette ad un rilevante sovraccarico funzionale e contenute non da strutture muscolari bensì da legamenti e capsule articolari. Tale caratteristica assume particolare rilevanza non solo a seconda dell’età del soggetto e della sua attività lavorativa, ma anche in termini di danno futuro; una protesi che va incontro ad un’usura precoce, stante il fatto che una sua sostituzione presenta notevoli difficoltà tecniche e scarsi risultati funzionali, sarà trattata con un intervento di rimozione ed artrodesi e conseguente maggior danno, in particolare se riguarda un soggetto di età non avanzata e ancora in attività lavorativa, e comunque con ripercussioni sulle attività ludico-sportive”.[3]
Si riportano di seguito le proposte valutative del suindicato lavoro, nelle quali viene assegnato un valore percentuale, in termini di danno biologico, alla perdita dell’estensione della radio-carpica: del 7% nell’arto dominante (6% in quello controlaterale) e un 5% (4% in quello controlaterale) all’abolizione della flessione.
“Per le limitazioni funzionali parziali della estensione dorsale, partendo dallo zero assegnato alla posizione intermedia della radio-carpica, la perdita degli ultimi 25 gradi della estensione (circa 1/3) potrà essere stimata nell’1% e la perdita di circa la metà del movimento (movimento consentito fino a circa 40º) il 3%; per quanto riguarda la flessione palmare, la perdita di un 1/3 del movimento nell’arto dominante (con flessione consentita fino a 60º) può essere stimata in circa mezzo punto percentuale, la perdita della metà della flessione in un punto e mezzo percentile e quella di 2/3 (flessione consentita sino a 30º) in due punti e mezzo, valori che non devono sembrare limitativi se si tiene conto che il primo terzo di movimento è quello funzionalmente più importante”.[4]
Per una migliore definizione medico legale del danno biologico residuo in rapporto ad una protesi di polso si è ritenuto indefettibile una disamina comparativa fra i diversi bareme più in uso in ambito medico legale: ”linee guida per la valutazione medico legale del danno alla persona in ambito civilistico-Ed. Giuffrè” che costituisce di fatto l’unico riferimento di valutazione del danno nel nostro Paese, “Evaluation du dommage corporel di L. Melennec” ed infine le tabelle dell’AMA “Amercan Medical Association”.
Mentre per le tabelle Italiane si ipotizza un tasso del 12% e 10% (arto dominante o non dominante) relativamente alla anchilosi radio carpica, il Melennec, la cui filosofia valutativa risulta più complessa rispetto a quella usualmente utilizzata in Italia, statuisce tassi crescenti di pro cento di danno, che partendo dal 4-5% si spinge fino al 15-20% per le anchilosi in posizione favorevole o sfavorevole, per l’AMA che determina la quota di danno in rapporto alla valutazione motoria generale dell’arto con gap progressivi ribaltati su un grafico in rapporto alla quota di perdita funzionale e per l’anchilosi estensoria risulta pari al 21% della totale.
Come ricordato in precedenza il posizionamento di una protesi di polso, al di là del danno biologico, calcolabile scolasticamente secondo i criteri di merito innanzi esposti, induce un sensibile riflesso negativo in termini di pregiudizio lavorativo e di conseguenza nell’espletamento di sport, specie quelli che implichino in prima istanza, l’utilizzo delle mani (si pensi alla pallavolo, alla pallacanestro, pallamano ec.ecc ed alla sede della lesione, arto dominante o meno.).
Risulta di evidenza solare la difficoltà di correlare al noto danno biologico il gap, tutt’altro che indifferente, indotto da una protesi di polso in relazione a siffatti parametri. In buona sostanza ci si trova a dover procedere ad una sorta di “personalizzazione” del danno, e non potrebbe essere diversamente, considerato che i riflessi negativi su cennati risultano assolutamente differenti, come già detto, in relazione all’età del leso, alla attività lavorativa esercitata prima dell’intervento, agli eventuali sport praticati nel passato ed alla sede della lesione (su arto dominante o meno).
Nella specie si è inteso far riferimento, nell’incedere dialettico di tale relazione, ad un soggetto molto giovane, anni 26, metalmeccanico e pallavolista semiprofessionista che a seguito di sinistro della strada riportava una frattura pluriframmentaria scomposta del polso destro che veniva trattata con impianto di protesi totale di polso. Quello che ci si chiede è il principio metodologico ispiratore di tali ulteriori forme di danno e la loro valutazione.