Ogni atleta ha diritto ad essere tutelato dagli eventi dannosi che può subire durante la pratica di uno sport; a tal fine la giurisprudenza ha creato dei modelli di imputazione della responsabilità da infortunio sportivo in base alle diverse attività sportive, sia amatoriali che agonistiche.
Mentre inizialmente le sentenze si pronunciavano sui singoli casi, senza poter utilizzare uno standard visto il vuoto normativo in materia, nel corso degli anni si sono adottati dei principi univoci per la determinazione della responsabilità in ambito sportivo.
Un primo criterio individuato è il rischio sportivo consentito, ossia il principio secondo il quale, l’atleta, consapevole dei potenziali danni a cui va incontro durante lo svolgimento della sua attività, ne assume la responsabilità, esonerando dal risarcimento i comportamenti che, nell’ambito di una determinata disciplina sportiva, saranno considerati leciti, anche se non regolari.
E’ chiaro che per stabilire i confini della liceità, sia stato necessario identificare degli standard di condotta, ricorrendo alle varianti del caso per adattare gli stessi a ciascuno sport; è opportuno a tale scopo, considerare le enormi differenze che possono emergere nella valutazione di un evento occorso durante lo svolgimento di una disciplina che preveda scontro necessario (box, arti marziali), rispetto ad uno verificatosi durante un’attività ad incidenza ridotta o nulla di violenza.
Tali confini saranno tanto più ampi, quanto più l’attività preveda alte prestazioni competitive, quindi più severi e stringenti nella pratica sportiva amatoriale e durante gli allenamenti.
Per la determinazione della colpa, la giurisprudenza fa riferimento ai parametri di ciascuna disciplina, tuttavia non è sempre possibile imputare una responsabilità civile in caso di lesioni personali, a colui il quale abbia commesso un atto falloso senza l’intenzione di ledere, e viceversa non sempre verrà assolto da tale responsabilità il soggetto che, pur agendo nel rispetto del regolamento sportivo, abbia provocato delle lesioni.
Saranno considerati responsabili delle lesioni procurate e di illecito sportivo tutti gli atleti che individuano l’attività sportiva come un pretesto per recare volontariamente un danno all’avversario.
Ai fini del risarcimento, quando si riscontra una colpa grave a carico dell’atleta, egli verrà considerato responsabile, civilmente e penalmente, e obbligato al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e biologici che il suo atto ha causato al soggetto danneggiato.
Negli sport di contatto o violenti è necessario effettuare una distinzione tra comportamento colposo e doloso.
Si parla di dolo quando l’atto violento non è contemplato dal regolamento dello sport praticato e si incorre quindi nel reato di lesioni dolose, in quanto i danni sono stati causati senza alcun rapporto di funzionalità con lo sport praticato (come ad esempio un calcio sferrato durante un incontro di pugilato).
Si ha invece condotta colposa, quando il comportamento, seppur violento e vietato dal regolamento, rientra comunque in un contesto agonistico, riconducibile allo sport in questione.
Quindi sintetizzando, quando l’atleta segue le regole di gioco e contestualmente non supera il rischio consentito, non si può parlare di illecito; egli non sarà dunque tenuto al risarcimento di alcun danno.
Quando l’atleta infortunato è un agonista di alto livello, l’evento lesivo, può essere fonte di un grave pregiudizio patrimoniale, la cui entità supera di gran lunga la cifra liquidata dalle compagnie di assicurazione, a fronte del mero danno biologico.
Anche un infortunio di lieve entità, potrebbe pregiudicare la prosecuzione di una carriera sportiva, o ridurre sensibilmente il valore di ingaggio dell’atleta.
Sarà il medico legale ad eseguire una accurata valutazione del danno patrimoniale da perdita o riduzione della capacità di intraprendere attività sportiva agonistica, e del relativo pregiudizio della possibilità di produrre redditi equiparabili a quelli garantiti da tale professione; egli infatti terrà conto durante la stima del valore dell’atleta, non solo dei redditi relativi ai precedenti ingaggi da parte delle società sportive, ma anche di eventuali contratti pubblicitari e di sponsorizzazione.
Una volta attribuito tale valore, si procederà con il calcolo presuntivo della mancata carriera sportiva, calcolata in termini di anni residui di attività in assenza del danno biologico derivante dall’evento lesivo occorso. Si terrà conto pertanto sia dell’età al momento dell’infortunio, sia della progressiva diminuzione di valore, legata all’avanzare dell’età.
Diversa sarà la valutazione del danno da perdita di chance, nel caso di atleti dilettanti che a causa di infortunio, abbiano visto sfumare la possibilità di assurgere al livello professionistico, per i quali dovrà sussistere, oltre al nesso causale tra evento e lesione, la possibilità concreta ed attuale di pregiudizio di un vantaggio futuro.