Può purtroppo capitare che, durante il decorso ospedaliero relativo a normali interventi di chirurgia cardiovascolare, si verifichino complicazioni di vario tipo anche gravi che esulano dalla branca di specializzazione presa in esame: in tali casi è importante ripercorrere a ritroso le vicende cliniche per indagare a fondo sulle eventuali responsabilità dello staff ospedaliero e sulle eventuali negligenze che possono aver causato l'avvenimento di eventi traumatici apparentemente scollegati fra loro.
Prendiamo ad esempio un caso esaminato dal nostro studio nel corso degli ultimi mesi in cui abbiamo analizzato la storia ospedaliera di una paziente sui 60 anni sottoposta alla sostituzione della valvola mitralica con una protesi meccanica.
Doverosa premessa: la paziente era già cronicamente affetta da insufficienza mitralica di grado avanzato con severa dilatazione atriale sinistra e fibrillazione atriale, anche prima dell'intervento.
Nell'immediato post-operatorio gli effetti della terapia anticoagulante somministrata vengono monitorati tramite la misurazione dell'INR (International Normalized Ratio) e, nei primi tre giorni di trattamento, questo indice rimane sempre a livelli molto bassi.
La situazione è già di per sé degna di attenzione dato che l'INR, il parametro che va a misurare lo stato di normale coagulazione del soggetto preso in esame, dev'essere tanto più alto quanto più è elevato il rischio trombotico del paziente, senza contare il sopra-citato stato di fibrillazione atriale cronica per il quale l'indice dovrebbe essere mantenuto ancora più alto del dovuto.
Nonostante ciò, la paziente viene dimessa e trasferita in un'Unità Operativa di Cardiologia Riabilitativa, reparto nel quale, inspiegabilmente, il controllo del INR venne omesso per ben quattro giorni consecutivi.
Il tardivo aggiustamento della terapia è insufficiente e porta al verificarsi della prima ischemia cerebrale, seguita da un ulteriore evento embolico qualche giorno più tardi.
La vicenda ha portato al configurarsi, per la paziente, di un considerevole periodo di invalidità temporanea e al delinearsi di una contrazione dell'attitudine al lavoro pari al 100%, il tutto congiuntamente a una considerevole contrazione dell'efficienza somato-psichica (danno biologico permanente), a una quota parimenti ragguardevole di danno morale e a una coeva compromissione dei rapporti parentali e familiari. Si imponeva, a questo punto, la richiesta di danni alle strutture ospedaliere coinvolte, avvalendosi delle nostre perizie.
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